COSÌ RICOSTRUIMMO L’ITALIA
1945-1959

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All’inizio del giugno ‘45, dopo un mese di pace in Italia, i mezzi di trasporto ferroviario, rispetto all’anteguerra, sono a un sesto, gli autocarri a meno della metà, la flotta mercantile a un decimo. Servono sette ore per andare da Roma a Napoli. A quanti si mettono in viaggio da Reggio Calabria e da Bari viene garantito di giungere a Ravenna, a Pisa, a Livorno: le altre destinazioni più a nord sono affidate all’inventiva di ciascuno, alla buona sorte. L’unico treno giornaliero da Torino a Roma impiega 36 ore; da Milano 33. Per il trimestre estivo gli approvvigionamenti di carbone sono valutati a un decimo del fabbisogno, pure lo zucchero è a un decimo, la carne a un quarto. Il Nord della Penisola è attraversato da una scia di odio sanguinario; i partiti politici si sbranano sul futuro assetto statuale, monarchia o repubblica; l’indipendentismo minaccia la Sicilia; Tito ha allungato le mani su Trieste e il Friuli Venezia Giulia. Eppure in quindici anni l’Italia stupirą il mondo con una rinascita che non ha precedenti.
Ad accompagnare i sogni arriva subito la schedina, prima con il «12», poi con il «13». Il Grande Torino, Coppi, Bartali ridanno un minimo di orgoglio a un Paese umiliato dal fascismo e annichilito dalla guerra persa. La scuola, il diploma, la laurea diventano il traguardo di moltissime famiglie convinte che il «pezzo di carta» consentirà ai figli un domani migliore. Scandali, imbrogli, misfatti rimangono spesso sotto il pelo dell’acqua e in ogni caso non infrangono l’ottimismo di fondo. La guerra fredda, lo scontro fra le grandi ideologie scavano baratri incolmabili, tuttavia permane una solidarietą di fondo tra le diverse anime della Nazione. Sia a destra, sia a sinistra in diverse occasioni l’interesse di bottega viene sacrificato davanti all’interesse generale.
C’è la fortuna di avere per sette anni come capo del governo l’asburgico de Gasperi capace di tenere a freno i grandi nemici della sinistra, Togliatti e Nenni, e quelli dell’oltranzismo cattolico rappresentati da Luigi Gedda, il pupillo di Pio XII. Dalle ceneri dell’Agip il monopolista a fin di bene Mattei costruisce l’Eni e lo usa per rompere il predominio petrolifero delle sette sorelle. Dall’inventiva di Enzo Ferrari e di Enrico Piaggio nascono due gioielli invidiati dal mondo. Gl’italiani sostituiscono la Vespa alla bici in attesa di salire prima sulla Seicento, poi sulla Cinquecento. Il travolgente successo della Fiat determina l’emigrazione di massa dal Meridione. A Torino nascono i quartieri dormitorio, chiamate Coree, privi di tutto, comunque un passo avanti per chi era abituato a vivere nelle grotte o nelle baracche. La nascente televisione regala una lingua al Paese, lo racconta e lo fa conoscere ai tanti, che mai si sono mossi dal borgo natio. Con Lascia o raddoppia? cominciano trasmissioni, che incideranno sul costume nazionale.
Il presidente del consiglio Scelba distrugge le prove del finanziamento dell’Urss al pci per non doverlo mettere fuorilegge rischiando la guerra civile. Con i comunisti condannati all’opposizione e i socialisti indecisi a tutto, la dc si trasforma nel perno dei governi centristi, dove gli alleati rimediano spesso la figura di utili idioti. La vera opposizione proviene dal sindacato paracomunista della Cgil guidato dall’ex bracciante pugliese Di Vittorio, che Togliatti fa piangere in occasione dell’invasione sovietica dell’Ungheria.
La mancanza di fondi, la povertà dei mezzi a disposizione favoriscono la stagione del neorealismo. Il cinema italiano conosce il suo periodo più fecondo contrassegnato dagli oscar a De Sica e a Fellini, dai trionfi di Rossellini al festival di Cannes. «Pane, amore e fantasia» battezza la fase romantica del movimento, un film dove tutto è legato al caso con De Sica protagonista imposto dal comandante generale dei carabinieri alla faccia di Andreotti, che sui giornali lo accusa di essere un comunista intento a disprezzare l’Italia.




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